Sandro Bertolini: ho paura che l’Hospice di Abbiategrasso mi abbandoni
Sandro Bertolini non è una persona qualunque, è una miscela di esperienze di vita, professionali e politiche, davvero unica. Per prima cosa ha 85 anni e una freschezza mentale invidiabile. Poi è un gran chiacchierone – lo ammette lui stesso – con un’enorme voglia di raccontarsi. E di cose da dire Sandro ne ha parecchie: è stato Sindaco di Robecco sul Naviglio, Consigliere d’opposizione per 15 anni, informatore scientifico, area manager e malato oncologico. Ha lottato con un tumore che ha lasciato conseguenze significative sul suo fisico ed oggi è stato preso in carico dall’Hospice di Abbiategrasso anche per alleviare le sofferenze e i disagi che la radioterapia ha lascito sul suo corpo.
Ciao Sandro. Da quando hai conosciuto l’Hospice di Abbiategrasso hai avuto modo di sperimentare due servizi: assistenza domiciliare e ricovero del sollievo. Come ti sei trovato?
Ciao Luca. È difficile descrivere questa esperienza perché il servizio è attivo tuttora e rischierei di utilizzare termini troppo enfatici. Posso dirti che il vostro servizio mi ha addirittura sorpreso. Ti confesso che non lo conoscevo, se non per sentito dire, anzi il riecheggiare di quel nome mi spaventava un po’, sembrava l’anticamera di una situazione senza ritorno. Questa era la mia idea prima di conoscervi, ma adesso è tutto cambiato. L’Hospice ha letteralmente modificato la mia esistenza sotto due aspetti: la gestione della patologia e l’aspetto umano. Se il miglioramento dei sintomi è facilmente comprensibile, l’umanità che gli operatori esprimono è tutt’altro che scontata. Tutte le persone, con le diverse sfaccettature ovviamente, hanno coltivato un rapporto con me che va oltre l’aspetto professionale. Forse non è corretto parlare di amicizia, ma sicuramente tutti gli operatori mi hanno dimostrato molto affetto e davvero una grande umanità. Sinteticamente posso dirti che sono assistito in maniera egregia dal punto di vista professionale e superlativa (non vorrei sembrare eccessivo) sotto il piano umano. Ho riscontrato questa professionalità e questa attenzione alla sfera umana in entrambi i servizi: sia attualmente con l’assistenza a casa, sia quando sono stato in via Dei Mille, 8/10 per un breve ricovero.
Sei stato otto giorni in Hospice per un periodo di sollievo. Come è stato?
Ero già in carico al servizio domiciliare dal giugno 2019 e ad agosto dello stesso anno mi è stato proposto questo ricovero del sollievo. Devo dirti che il sollievo era più che altro per Giulietta, perché questa possibilità le ha consentito una breve vacanza in montagna. In questo modo anche lei si è concessa una pausa ed è tornata al mio fianco con più energie. Già da giugno, quando vi ho conosciuto, avevo iniziato un percorso di risalita - concedimi questo termine - perché uscendo dall’Ospedale ero debilitato, avevo forti dolori ed ero davvero molto stanco. La colpa non è certo del personale degli ospedali ma probabilmente delle terapie e di tutti gli esami e gli interventi a cui sono stato sottoposto. In Ospedale ho riscontrato una buona professionalità ma una minore attenzione agli aspetti relazionali. Il modello sanitario che applicano nei nosocomi non è certo incentrato sull’umanizzazione della cura, è piuttosto volto alla guarigione. Per questo uscendo da questo ambiente mi sono sentito un po’ stressato fisicamente e psicologicamente. In Hospice non mi è mai stato trasmesso questo affanno.
Quanto conta per un malato nella tua condizione l’umanizzazione delle cure rispetto alla sola cura sanitaria della patologia stessa?
Avere attenzione agli aspetti relazionali e quindi dimostrarsi il “più umano possibile” nei confronti di un paziente è un aspetto che scopro essere fondamentale e che per importanza metterei sullo stesso piano delle terapie tradizionali. Non avevo mai dato molta enfasi a questo ambito e mi sbagliavo. In particolare, quando ho incontrato la vostra equipe domiciliare sono rimasto davvero stupito. Ora scopro che non voglio rinunciare a queste attenzioni, quasi mi sento viziato. Ad esempio, quando viene Camilla (una OSS che si occupa dell’igiene del paziente, ndr) è sempre molto piacevole. Lei è adorabile anche se mi striglia un po’ (ride) perché vuole che sia lavato e pulito al meglio. Io seguo i suoi consigli e poi, quasi per riparare alla “strigliata”, mi asciuga con un affetto e una delicatezza che sono ammirevoli. E io mi sento meglio.
Certo, però tu ci hai preso gusto e hai voluto provare proprio tutti i servizi dell’Hospice, anche l’arteterapia…
Sì, oltre al medico, l’infermiere, l’OSS, l’assistente sociale, lo psicologo e il fisioterapista, sono assistito da Elisabetta, l’arteterapeuta. Per me, che sono appassionato di disegno, è un momento fantastico. Inoltre è un sollievo anche per Giulietta, mia moglie, che approfitta di queste occasioni per uscire di casa e staccare un po’. Tra me ed Elisabetta si è creato un rapporto quasi amichevole, parliamo moltissimo e questo mi fa davvero bene. Sono sempre stato…”logorroico!” (interviene ridendo Giulietta), proprio così. È anche per questo che ho fatto politica e voglio raccontarti un episodio divertente…
Certamente…
Prima di fare il sindaco ho passato 15 anni all’opposizione. Come saprai, nei piccoli comuni il consiglio comunale è composto da otto membri della Giunta più quattro dell’opposizione. Bene, ad ogni consiglio per far un dispetto agli avversari, chiedevo la parola sul finale. Senza dire nulla di concreto, continuavo per molto tempo a parlare e vedevo gli occhi degli avversari politici chiudersi a poco a poco. Poverini, io facevo l’informatore scientifico mentre loro erano spesso agricoltori e mungitori. In pratica loro si alzavano prima dell’alba e io, parlando fino a tarda ora, mi prendevo la mia piccola rivincita politica. Da avversari non ci siamo parlati molto, ma dopo gli anni della politica con tanti di loro sono rimasto amico.
Hai fatto l’informatore scientifico, quindi ti intendi di farmaci. Hai avuto timore a farti somministrare i farmaci oppiacei?
Sai, ogni farmaco ha qualche controindicazione. Io mi sono informato con i medici che mi assistono e devo dire che preferisco qualche effetto collaterale rispetto ai dolori lancinanti. Una delle conseguenze indesiderate di queste medicine è certamente uno stato di disorientamento, per fortuna leggero, che può influire sulle facoltà mentali. A volte riscontro una difficoltà a ricordare le cose nel breve termine, ma certamente in questo aspetto anche i miei 85 anni incidono.
In politica, così come nell’ambito farmaceutico e sanitario, nell’ultimo anno si è parlato molto di DAT e di eutanasia. Cosa ne pensi?
Giulietta ha già depositato le proprie Dichiarazioni Anticipate di Trattamento e anch’io voglio farlo. Ho avuto qualche ritardo burocratico dovuto alla residenza ma adesso sembra risolto. A breve conto di poterle depositare. Rispondere sull’eutanasia, nelle condizioni in cui mi trovo, è invece molto più complicato. Confesso, e non me ne vergogno, che nei momenti più difficili, specie quando sono uscito a pezzi dall’ospedale, ci ho ragionato. E ci pensato davvero parecchio, tanto da aver strizzato l’occhio all’ipotesi di andare in Svizzera per il suicidio assistito. Poi per fortuna la situazione è andata migliorando.
Cosa ti ha fatto cambiare idea?
L’Hospice! Il vostro staff mi ha permesso di recuperare parte della condizione fisica che avevo perso e soprattutto mi ha concesso di dare un nuovo significato alla vita che resta.
Prima di chiudere voglio chiederti un’ultima cosa. C’è qualcosa che ti preoccupa?
Sembra assurdo ma ho timore che l’Hospice mi abbandoni. Vedi, io sono un malato particolare, con una malattia cronica che ha un’evoluzione molto più lenta rispetto ad una oncologica. Ho paura che se dovessi migliorare di molto la mia condizione poi non avrei più quelle caratteristiche che consentono alle cure palliative di proseguire nella presa in carico. Così tornerei ad essere un malato qualunque, senza un’equipe sempre disponibile. E questo mi spaventa parecchio….