Biotestamento? Moroni intervistato da Aziani su Ordine&Libertà
Che cosa porta di veramente nuovo all’atto pratico la legge sul biotestamento approvata definitivamente, da una larga maggioranza in Senato (180 favorevoli, 71 contrari e 6 astenuti)? E che cosa introduce di veramente importante che prima non fosse contemplato?
L’abbiamo chiesto a Luca Moroni, che sia in quanto direttore dell’Hospice di via Dei Mille, sia come presidente nazionale della Federazione Cure Palliative, è un osservatore particolarmente attento ed un interlocutore particolarmente qualificato per affrontare la delicata questione.«Questa legge affronta delle tematiche valoriali ed è scritta in maniera sufficientemente chiara e non giuridica, riuscendo così ad essere in parte a dare delle indicazioni e in parte ad essere interpretabile ancora come una legge quadro. È una legge che affronta valori che sono vecchi come il mondo (come la relazione tra medico e paziente, fra persona malata e chi si prende carico di lei) ma al contempo è anche molto attuale: oggi io ritengo ce ne sia bisogno più di quanto non fosse venti e dieci anni fa…».
Perché? Che cosa è cambiato in modo così decisivo in questo lasso di tempo?
«Oggi esistono, molto più di allora, delle forme di sostegno artificiale alla sopravvivenza che una vola erano impensabili. Si è in grado di intervenire a compensazione di organi che non funzionano più in modo estremamente efficace. E questo porta alla necessità di dover ragionare su quando e fino a quanto è il momento nel quale è opportuno e giusto intervenire artificialmente al sostegno della vita. Poi c’è l’invecchiamento della popolazione: il bisogno di salute riguarda una popolazione anziana portatrice di patologie croniche. Quindi che non guariscono, ma con le quali bisogna convivere. Tutta la nostra etica valoriale della medicina è importata sul prolungare il più possibile la vita. Ma con una popolazione che ha bisogno che la Medicina sappia contribuire alla qualità della sua vita e non solo alla sua durata, oggi più che una volta bisogna porsi il tema di che cos’è la qualità della vita».
Difficile dirlo in termini oggettivi e universali...
«Infatti è questa situazione ad introdurre una soggettività che sposta in qualche modo il focus dal curante al curato. È chiaro che questi valori vecchi come il mondo ma anche molto moderni sono qualcosa su cui la bioetica si interroga oggi. I medici e le équipe si domandano e si imbattono in una serie di interrogativi: chi sia deputato a valutare le scelte; quale sia il perimetro di queste scelte…».
Qualche esempio concreto?
«Oggi ci sono forme di intervento su problematiche cardiologiche che arrivano a impiantare defibrillatori a persone che hanno scompensi gravissimi; o un malato di Sla si trova a decidere se richiedere una tracheotomia, che peraltro lo porterà a cambiare radicalmente il proprio percorso di malattia consentendo una sopravvivenza che può arrivare e in molti casi arriva a una situazione di totale paralisi, compreso il movimento del bulbo oculare: una persona in quel caso è lucida e totalmente impossibilitata a comunicare con l’esterno...».
Quasi tutti i giornali hanno voluto associare il dibattito sull’opportunità o meno che quella sul testamento biologico diventasse legge e la notizia della sua approvazione alla vicenda di dj Fabo... Lei che ne pensa?
«Penso che la legge sul biotestamento non ha nulla che fare con quella vicenda»
Per quale motivo?
«Perché nel perimetro delle scelte che si possono fare attraverso la nuova legge, l’eutanasia non c’è. Si tratta di determinarsi rispetto alla sospensione di sostegno vitale ed essa dal punto di vista bioetico non ha nulla di diverso dall’introduzione di altri terapeutici».
I punti oggetto di maggiore contestazione sono due: uno è la nutrizione e idratazione
«Già, ma tutte le società scientifiche sono concordi nel considerare questa forma di alimentazione come un atto medico e terapeutico...»
L’altro è quello in cui la legge dice “il medico è tenuto a…”.
«Questa nella legge è una scelta di campo che poi ha i suoi argini nel momento in cui dice “pur tenendo conto che la medicina può evolvere”, oppure “pur tenendo conto che il medico deve valutare se queste disposizioni sono effettivamente attuali rispetto alla situazione che si sta determinando”; dunque lascia questa libertà di obiezione al singolo e alla struttura. Però sicuramente rispetto ad altri disegni di legge (come il Clabrò) questa normativa da un punto di vista delle scelte di campo tra l’autonomia del medico e quella del malato si schiera verso quella di quest’ultimo, benché non riduca il medico a un esecutore, ma gli chieda di essere molto attento a questa espressione di volontà da parte dell’ammalato».
Cosa che una parte del mondo cattolico contesta senza mezzi termini...
«Vero, ma si tenga conto che questa legge era avviata su un binario morto ed è stata recuperata dalle affermazioni di Papa Francesco a metà novembre durante il congresso nazionale della società italiana di cure palliative, quando ha detto che occorre valorizzare le scelte della persona malata e addirittura che occorre che i governi e i parlamenti ne tengano conto. Cosa che è stato un elemento sicuramente determinante».
Che cosa questa legge cambierà e introdurrà come novità rispetto all’esistente per quanto concerne la realtà e l’utenza di una struttura come l’Hospice?
«Io non credo che qui cambi granché. Ragionando sul parallelismo tra queste normative e le cure palliative, ho notato per prima cosa che la legge cita le cure palliative dicendo che anche al malato che rinuncia a un atto terapeutico vanno comunque garantite, sempre in un contesto di verità sulla malattia che porta il malato e la famiglia a fianco, di pari passo, a poter valorizzare il tempo (le settimane o i mesi) che ancora gli resta a disposizione».
In conclusione, questa legge è o non è l’anticamera dell’eutanasia?
«No non lo è, perché la legge italiana vieta l’eutanasia. Ed essa, l’eutanasia, ha dal punto di vista della procedura una connotazione molto evidente e chiara, molto “inconfondibile”: è la somministrazione di farmaci che provocano il decesso. Che non è la sedazione. La quale è una somministrazione di farmaci che controllano il sintomo non controllabile producendo un abbassamento o un annullamento del livello di coscienza, ovvero ti fanno dormire. Ma è un’altra cosa. E questa legge non interviene sulla legge dello Stato che vieta il suicidio assistito e l’eutanasia che dal punto di vista delle procedure e dei farmaci utilizzati è diversa, è un’altra cosa».
La sacralità della vita è un fondamento valido per tutti, non solo per chi professa una fede religiosa. Non le pare che questa nuova legge la metta in discussione?
«No, questa legge non la affronta. E nemmeno la afferma. Però non entra in contraddizione con altre leggi che vietano alcune azioni pur anche quelle senza entrare nel merito della sacralità della vita. Le leggi dello stato che impediscono l’omicidio non lo fanno in funzione della sacralità della vita, ma in termini di convivenza civile tra le persone. Però oggi, per ragioni storiche e tecnologiche, la sopravvivenza a tutti i costi non può essere più un valore assoluto. Non è giusto nei confronti delle persone considerare la sopravvivenza a tutti i costi un dovere. Nella qualità della vita c’è la dimensione umana dell’essere in qualche modo anche attori e protagonisti della propria vita e non alla mercé di qualsiasi cosa la tecnologia ti possa riservare».
Articolo a cura di Marco Aziani, direttore Ordine&Libertà - pubblicato il 22 dicembre 2017