Le cure palliative al domicilio dei pazienti COVID-19: il ruolo dell’infermiere

Le cure palliative al domicilio dei pazienti COVID-19: il ruolo dell’infermiere

Essere infermiere al tempo del coronavirus e raggiungere il domicilio dei pazienti affetti da COVID-19 rappresenta un rischio ma anche una certezza, quella di essere ancora più utili del solito. Abbiamo chiesto ad Alessandro, uno degli infermieri storici dell’Hospice, come ha vissuto questo cambiamento.

14/4/2021 | Racconti ed interviste
Le cure palliative al domicilio dei pazienti COVID-19: il ruolo dell’infermiere

Ciao Alessandro, com’è mutato il tuo lavoro oggi che, come altri colleghi, ti confronti anche con persone affette da COVID-19?

Ciao! La mia attività è stata completamente riorganizzata e il carico di lavoro è ovviamente aumentato. Abbiamo più pazienti e dunque si lavora di più. Per fortuna, alcune regole sono cambiate e alcuni aspetti burocratici sono stati un po’ snelliti così riusciamo ad incrementare l’attività di assistenza. Quando giro nei comuni della zona, quando entro nelle case o incrocio la gente per strada percepisco una maggiore tensione. Le persone sono attente a mantenere le distanze sociali e si intuisce la loro preoccupazione. All’inizio della pandemia, quando eravamo tra i pochi operatori sanitari ad indossare la mascherina, mi ricordo che entrando nelle case coglievo una certa diffidenza negli occhi delle persone. Oggi, che sono trascorse solo poche settimane, è il contrario! Paradossalmente, più mi vedono protetto e più mostrano fiducia nei miei confronti. Per fortuna ora le famiglie vivono queste precauzioni come utili e necessarie proprio per una tutela nei loro confronti.

A livello personale cos’è cambiato? Ti senti più preoccupato di prima?

Sinceramente non molto, ma si tratta anche di un atteggiamento personale. Quando è scoppiata la pandemia ho reagito come tutti. Ho poi scoperto strada facendo quanto fosse grave il problema. In questo voglio fare i complimenti alla Direzione dell’Hospice che si è mossa per tempo. Avere un’infettivologa come Giancarla Moscatelli in equipe, avere memoria di ciò che all’Hospice di Abbiategrasso si faceva ai tempi dell’HIV ha sicuramente consentito di essere sufficientemente reattivi alla notizia dell’espansione del contagio. Sin da subito abbiamo avuto a disposizione tutte le protezioni di cui necessitavamo e questo, almeno dal mio punto di vista, mi ha tranquillizzato molto. Io sto seguendo alcuni casi di COVID-19 conclamati, è successo a me ma poteva e potrà capitare ad altri colleghi di averli in carico, e avere queste protezioni è necessario, altrimenti il contagio è garantito. Uno degli aspetti positivi è che le persone affette dal virus ci sono molto grate per non averle lasciate sole in un momento doppiamente difficile.

Il tuo lavoro di infermiere in cure palliative però non prevede solo aspetti clinici, c’è una componente relazionale molto importante. Com’è da questo punto di vista?

In questo periodo l’invito di chi coordina gli enti di cure palliative, soprattutto lombardi, è quello di restare il meno possibile accanto alle persone malate. Esattamente il contrario di ciò che facevamo prima. Per tutelarci e garantire un’adeguata sicurezza ai nostri pazienti siamo costretti durante le visite a mantenere la distanza, salvo le operazioni in cui un contatto è necessario. Il telefono è diventato uno strumento di lavoro ancor più importante di prima. Attraverso le telefonate educhiamo il caregiver in alcuni aspetti sanitari, rileviamo buona parte dei bisogni e svolgiamo una preziosa attività di relazione con il paziente e i componenti della sua famiglia. Però non è certo come prima, un colloquio telefonico non ha lo stesso impatto di un approccio vis a vis o di una carezza quando serve. E poi è una fatica enorme perché trascorriamo moltissimo tempo al telefono, consumiamo ore nella fase di vestizione, svestizione e sanificazione degli indumenti e dei dispositivi che utilizziamo e soprattutto dobbiamo mantenere un livello di attenzione più elevato del solito. Tutto questo per scongiurare il rischio di essere contagiati o di divenire vettori del virus. Ciò che però è importante tenere a mente è che siamo persone come le altre e che il nostro lavoro non ci rende immuni. Quindi, purtroppo, pur mantenendo tutte le precauzioni durante l’orario lavorativo, potremmo contrarre il virus proprio come tutti, magari mentre siamo a fare la spesa.

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