La Dignità Umana: significato e riflessioni

La Dignità Umana: significato e riflessioni

Il concetto di dignità è trasversale a numerosi argomenti ed apre ad una moltitudine di significati in base al contesto in cui il termine viene collocato. Nelle cure palliative la parola “dignità”, seppur non citata direttamente nelle definizioni riconosciute in letteratura, assume un ruolo centrale.

25/10/2023 | Pillole di Bioetica
La Dignità Umana: significato e riflessioni

La Dignità: significato

Per definire cosa significhi il termine dignità nel contesto di cura, ed in particolare nella disciplina delle cure palliative, si può partire dal suo significato più classico. La dignità, infatti, è una condizione umana di “nobiltà morale in cui l’uomo è posto dal suo grado, dalle sue intrinseche qualità, dalla sua stessa natura di uomo” [Treccani].

La dignità è quindi una qualità intrinseca alla natura umana e ha come peculiarità la reciprocità: il rispetto di tale condizione è dovuto nei confronti di ogni individuo e allo stesso tempo l’individuo stesso deve rispettare la propria dignità. Il termine assume sfumature diverse dal contesto in cui lo si colloca: ambito ecclesiastico o civile; ambito sociale; ambito giuridico; ambito sanitario, etc.

Dignità umana

Parlare di dignità umana apre ad una serie di riflessioni che arrivano al pensiero contemporaneo mediate dai concetti sviluppatisi nel corso dei secoli. Interrogarsi sulla natura della propria umanità è insito nell’uomo e oggetto di riflessione da sempre.

Nella Grecia antica, ad esempio, Gnoti sauton, che tradotto significa “conosci te stesso”, era la scritta posta nel tempio di Apollo a Delfi. Concettualmente il significato di dignità nel mondo ellenico era diverso dalla nostra rappresentazione attuale perché privo di quei caratteri di immanenza e uguaglianza che lo caratterizzano nel mondo moderno (in particolare quello occidentale).

Il concetto di dignità umana attuale, infatti, affonda le proprie radici nel pensiero cristiano in parte riprendendo il significato che la dignità umana aveva assunto nel mondo latino. Già Cicerone parlava di dignità dell’uomo secondo un duplice concetto: da un lato l’individuo si eleva sulla natura in qualità di animal rationale e dall’altro occupa un posto all’interno della società che deriva dall’eccellenza e dalla nobiltà delle sue azioni al servizio del bene comune.

Sarà poi Kant nel 1700 a indicare più precisamente il concetto moderno di dignità umana: “L’uomo, e in generale ogni essere razionale, esiste come fine in sé stesso, non semplicemente come mezzo da usarsi a piacimento per questa o quella volontà, bensì deve essere sempre considerato in tutte le sue azioni indirizzate verso sé stesso come verso altri esseri razionali, insieme come fine” [I. KANT, Fondazione della metafisica dei costumi, Laterza, Roma-Bari 2010, p. 89].

Dignità e diritti umani

A partire dalla fine della seconda guerra mondiale il concetto di dignità umana trova ampio spazio in trattati, atti e carte internazionali oltre che in una serie di Costituzioni degli Stati Occidentali. Tra i principali si segnalano:

  • Carta delle Nazioni Unite (26 giugno 1945)
  • Atto costitutivo UNESCO (redatto a Londra il 16 novembre 1945)
  • Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (10 dicembre 1948)

Per giungere fino ai più recenti esempi di inclusione del suo significato nelle carte dell’Unione Europea:

  • Carta dei diritti fondamentali dei dell’Unione Europea (7 dicembre 2000)
  • Trattato di Lisbona (13 dicembre 2007)

La dignità nella Costituzione Italiana

Come anticipato nel paragrafo precedente, il concetto di dignità trova spazio anche nelle costituzioni degli stati occidentali. La dignità nella costituzione italiana è citata all’Art. 3 ed in particolare fa riferimento al concetto di dignità sociale:

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

Nel contesto tedesco, invece, il concetto appare nella “Legge fondamentale tedesca” (simile alla nostra Costituzione) all’art. 1. cita espressamente che “la dignità dell’uomo è intangibile” ed è dovere di ogni stato rispettarla e proteggerla.

La dignità nel contesto sanitario

Sono innumerevoli i casi in cui la dignità viene accostata all’ambito sanitario (codici deontologici, letteratura scientifica, protocolli operativi, etc.).

Il Codice deontologico delle professioni infermieristiche FNOPI (Federazione Nazionale Ordine degli ordini delle professioni infermieristiche) approvato dal Comitato Centrale della Federazione e dal Consiglio Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche a Roma nella seduta del 12 e 13 aprile 2019 cita il termine nell’articolo dedicato a “rispetto e non discriminazione” (art. 3):

L’Infermiere cura e si prende cura della persona assistita, nel rispetto della dignità, della libertà, dell’eguaglianza, delle sue scelte di vita e concezione di salute e benessere, senza alcuna distinzione sociale, di genere, di orientamento della sessualità, etnica, religiosa e culturale.

La terapia della dignità

Esiste una particolare area della psicoterapia che è rivolta alle persone che si trovano in condizioni che limitano la durata della loro vita o che la mettono fortemente a rischio. Tale branca della psicoterapia è piuttosto recente essendo apparsa per la prima volta sulle riviste di settore nel 2002.

Prende il nome di terapia della dignità e la sua concettualizzazione si deve allo psichiatra canadese Harvey Max Chochinov noto soprattutto per i suoi studi e le sue ricerche rispetto ai bisogni psicologici dei malati terminali.

Dallo studio condotto dallo psichiatra canadese sui pazienti affetti da tumore in fase avanzata nasce infatti il PDI (Patient Dignity Inventory), uno strumento studiato per misurare varie fonti di distress correlato alla dignità dei pazienti in fase terminale

Questo tipo di approccio terapeutico lavora soprattutto sul piano esistenziale e spirituale del malato. Questi aspetti risultano essere centrali anche nelle cure palliative, le quali, come già sottolineato, si prendono cura sia dei sintomi fisici, sia di quelli psicologici, relazionali e spirituali.

La dignità nelle cure palliative

Quando si parla di cure palliative non si può escludere il termine dignità dalla discussione. Le cure palliative nascono infatti proprio a tale scopo e tra gli obiettivi indicati proprio dalla fondatrice del primo Hospice, Cecily Saunders, vi era “soddisfare il bisogno di controllare i sintomi e di dare dignità all’individuo alla fine della vita.” [Saunders C., Vegliate con me: Hospice: un’ispirazione per la cura della vita. Bologna: EDB: EDB; 2008, pp. 37; 145].

Rispettare la dignità dell’individuo diviene quindi il fulcro su cui viene impostata tutta l’attività delle cure palliative, sia che esse vengano erogate durante un ricovero all'Hospice, al domicilio della persona malata, in Ospedale, nelle RSA o in ambulatorio.

L’Hospice di Abbiategrasso ha fatto suo questo concetto e lo ha integrato nella propria mission e nel pay off. Sotto al logo dell’Hospice si può leggere infatti: qualità della vita, dignità nella malattia.

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