Uno Tsunami chiamato SLA. Stefania ci racconta la sua esperienza da caregiver
“Dunque Stefania”. Già al dunque un fremito mi scosse le viscere. Esiste forse una frase a lieto fine, pronunciata da un medico, che inizia con un “dunque”? Il “dunque” è portatore sano di guai. Sparge brutte notizie senza saperlo.
Questo è un estratto del libro “Mi manca la tua voce” di Stefania Piscopo e la brutta notizia è una diagnosi di SLA rivolta a sua mamma Graziella. Stefania ha deciso di raccontare questa storia in un libro iniziando proprio dalla comunicazione più difficile: “sua mamma ha la Sclerosi Laterale Amiotrofica”.
Ciao Stefania, è da poco passata la Giornata Nazionale sulla SLA e tu, in qualità di caregiver, hai rilasciato un paio di interviste all’Avvenire e al Fatto Quotidiano che si sono interessati alla tua vicenda. Perché proprio tu?
Ciao. Mi hanno selezionato perché l’ufficio stampa di AISLA (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica) ha dato il mio nominativo ai giornalisti. Loro, che mi conoscono bene, sanno che ho voglia di raccontare la mia (dis)avventura con la malattia di mamma e di essere d’aiuto per gli altri. A questo proposito ho scritto il libro, per raccontare le difficoltà che ho vissuto e poter dare consigli utili a chi si trova nella mia situazione. Voglio far risaltare il ruolo fondamentale dei caregiver in queste condizioni.
Però non è l’unica ragione per cui hai scritto il libro. Quali sono le altre?
In primis l’ho scritto per me stessa. Per me è stato molto terapeutico, mi ha aiutato a tirare fuori il dolore e la rabbia che ho provato e sto provando tuttora. Poi c’è anche un’altra ragione a cui tengo davvero moltissimo. Voglio aiutare l’Hospice di Abbiategrasso con una raccolta fondi legata alla vendita del libro. Destinerò una quota del ricavato al sostegno delle attività del centro di cure palliative di Abbiategrasso perché ho trovato in loro un ottimo sostegno. Mi hanno aiutato davvero in tutto, dall’assistenza psicologica al sostegno offerto a mia mamma. Inoltre mi hanno anche supportato nella realizzazione del libro mettendo a disposizione una persona che mi aiutasse nella scrittura della mia opera.
Il mio vuole essere un duplice supporto: da un lato aiutare le persone malate in cura con l’Hospice, dall’altro, invece, voglio dare un sostegno emotivo a chi si trova in una condizione simile alla mia.
Com’è cambiata la tua vita dalla diagnosi?
Dico sempre che la vita che avevamo io e la mia famiglia è stata chiusa in un cassetto che adesso è stracolmo di ricordi, tanti dei quali davvero belli. In questi mesi abbiamo dovuto aprire un nuovo cassetto perché sono cambiate tantissime cose. Si sono trasformati i tempi e le modalità con cui facciamo tutto. Le abitudini e la routine che avevamo sono state spazzate via e solo oggi a distanza di 10 mesi dalla diagnosi iniziamo a trovare un nuovo ritmo. È una vita diversa, che ovviamente non ci piace come quella di prima, a cui ci dobbiamo abituare e adattare.
C’è qualcosa, oltre alla malattia, che ricordi in modo spiacevole?
Sì, due ricordi sono forti. Il primo è legato all’ospedalizzazione di mamma in una fase molto acuta della sua malattia. Il ricordo è negativo soprattutto per la gestione umana di Graziella e di tutta la nostra famiglia. Se dal punto di vista clinico è stata ben seguita, in alcuni casi dal punto di vista dell’empatia nei suoi e nei nostri confronti non posso dire lo stesso.
L’altro aspetto negativo è stato ed è tuttora la burocrazia. Troppa, davvero troppa. Mi scontro puntualmente con domande compilate che non sono complete, uffici chiusi, moduli che arrivano in ritardo, ecc. Questo è un problema con cui tutta Italia si confronta ma che nel caso di un malato di SLA rende ancora più problematica la situazione.
Hai però anche qualche buon ricordo legato a questo percorso?
Ce ne sono molti, davvero. Attorno a noi si è creata una bella rete di persone che ci ha aiutato. C’è la vicina che cucina, la signora che fa la spesa, i miei colleghi che mi supportano, la cugina che viene a trovare mamma e gli amici che organizzano pranzi e cene. Insomma, grazie a loro ci siamo sentiti meno soli.
Un altro ricordo è legato all’assistenza dell’Hospice ed in particolare al ricovero di sollievo. Mia mamma è assistita dall’equipe domiciliare dell’Hospice ma per un paio di settimane ha beneficiato di un ricovero in struttura. L’ha chiesto lei e questo ha permesso a noi di tirare il fiato. Io sono riuscita addirittura a concedermi una settimana di ferie. Devo dire che non ci aspettavamo proprio un ambiente così sereno. L’idea di entrare in Hospice ci metteva paura, temevamo di trovarci in un ambiente triste dove si percepiva la sofferenza. In realtà è stato proprio un sollievo. Per mia mamma sono state due settimane piene: attività da fare, visite di amici in qualsiasi orario e tanto riposo. Ora che mamma è a casa ogni tanto mi dice che le piacerebbe passare in Hospice a salutare infermieri, medici e OSS. Si è creato davvero un bel rapporto tra loro e la mia Graziella.
Il libro, edito da “La memoria del mondo”, si intitola “Mi manca la tua voce”. Perché questo titolo?
La voce è la prima conseguenza che la SLA ha avuto su mamma. È la prima cosa che ha perso e a me da figlia manca tantissimo. Mi piace pensare che attraverso questo libro posso in parte sopperire a questa mancanza. Posso ridare voce a lei e alla sua vita.
Permettimi però di chiudere con un pensiero che riguarda tanti malati e che spesso noi del settore (Stefania è un’infermiera ndr) dimentichiamo. Prima della patologia c’è la persona. E prima della guarigione c’è la cura. Alcune malattie non si possono guarire, la SLA è una di questa, ma in ogni caso la persona può e deve essere curata. Sempre!