Pazienti da assistere a casa fino all'ultimo istante
In passato non si moriva soli ma attorniati da affetti. I vecchi morivano a casa loro e spesso in una casa che condividevano con i figli e i nipoti. Non ci voleva certamente Edgar Morin e il suo saggio “L’uomo e la morte” 1 per delineare una tendenza che negli ultimi decenni ha coinvolto le società occidentali. Si muore sempre più tardi ma il trapasso avviene più spesso presso ospedali e altri centri di cura.
Negli ultimi anni qualcosa sta però cambiando. L’assistenza domiciliare, specie quella in cure palliative, si sta diffondendo sempre di più, permettendo così alle persone malate di trascorrere nella serenità della loro casa le ultime settimane di vita. Una tendenza che Margherita Caputo, assistente sociale dell’Hospice di Abbiategrasso, riscontra nel suo lavoro di tutti i giorni.
In molti conoscono l’Hospice ma non l’assistenza domiciliare – ci dice Margherita - e quando li incontro per fornire informazioni a riguardo restano sorpresi. “Mio padre è troppo grave per assisterlo al domicilio”; “Io non sono in grado badare a mia mamma e alla sua malattia” sono solo alcune delle frasi che quotidianamente mi sento ripetere in occasione dei colloqui con i famigliari del paziente.
E tu cosa rispondi?
Utilizzo frequentemente una citazione di Willa Cather: “Ci sono cose che si imparano meglio nella calma, altre nella tempesta”. Questo perché non c’è nulla che non si possa imparare e spesso sono proprio la necessità e l’urgenza che fanno emergere le risorse migliori di noi. L’equipe della nostra assistenza domiciliare è formata da diverse figure: medici, infermieri, OSS e all’occorrenza psicologi, fisioterapisti. Tutti questi professionisti sono coinvolti nell’educazione delle persone che seguono il malato.
L’assistenza a casa presuppone che vi sia una persona affianco al paziente 24 ore al giorno. È così?
Certo, la presenza di un caregiver è fondamentale. Questa persona si prende cura del malato nella quotidianità e deve essere in grado di rispondere ai suoi bisogni. Può essere un parente, un amico o un’assistente famigliare (badante). L’importante è che sia presente continuativamente e sia in grado di ascoltare e mettere in pratica le indicazioni che vengono fornite dai professionisti che si recano al domicilio. Deve somministrare correttamente le terapie che medici ed infermieri propongono. Al monitoraggio clinico del paziente ci pensano medici e infermieri.
Quindi l’equipe non è presente 24 ore al giorno a casa del paziente?
Assolutamente no! Sarebbe fantascienza. L’Hospice di Abbiategrasso riesce ad assistere a casa fino a 50 persone nello stesso periodo, ci vorrebbero almeno il doppio dei professionisti per garantire una presenza continua. Quello che facciamo è programmare le visite, rispondere al telefono 24 ore al giorno e, in caso di urgenza, recarci ad assistere la persona malata.
Ma l’assistenza domiciliare di cure palliative è attivabile in qualsiasi contesto?
No. L’abitazione deve essere adeguata, ossia dev’essere un luogo che preservi la sicurezza del malato anche nella condizione di fragilità in cui si trova. Per eventuali presidi (ad esempio un materasso antidecubito) noi forniamo alla famiglia tutte le indicazioni per richiederli all’ATS o, eventualmente, per acquistarli o noleggiarli.
Si incontrano resistenze da parte della famiglia?
Certamente. Non tutti comprendono il percorso di cure palliative. Noi dialoghiamo con i famigliari e con i pazienti allo scopo di capire cosa è meglio per la persona da curare e programmare l’assistenza insieme alla famiglia sulla base dei bisogni e dei desidèri del malato. Questi due aspetti sono cruciali nel nostro lavoro per raggiungere il nostro obiettivo principale: offrire un’assistenza che privilegia la qualità della vita e non la durata.
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1 Edgar Morin, L’uomo e la morte, Meltemi Editore srl, 2002