Michela ci racconta la storia di Abdou e della straordinaria generosità di molti italiani
Abdou era un ragazzo originario del Gambia, uno dei tanti, uno più sfortunato di altri. 30 anni, una malattia inguaribile, due figli in Africa, un lavoro precario e una sola amica italiana. Già perché Michela Cotroneo, psicologa ed ex dipendente del CAS (Centro di Accoglienza Straordinaria) di Abbiategrasso dove ha conosciuto Abdou, ha aiutato il ragazzo in modo volontario, il suo lavoro nulla aveva a che fare con questa vicenda. Michela è la prima persona che si è mossa e il suo esempio è stato seguito da molti italiani. Una storia drammatica, Abdou è venuto a mancare nel novembre del 2019, ma con un finale che la rende meno amara: la salma del ragazzo è stata trasferita in Gambia dove risiedono sua moglie, i figli e l’anziana madre.
Ciao Michela, complimenti per tutto quello che hai fatto. In particolare la raccolta fondi che hai attivato è davvero encomiabile. Quanto hai raccolto?
Ciao, grazie davvero. Abbiamo raccolto più di 6.000 Euro (forse un po’ di più ma devo ancora fare bene i conti) che è ben oltre le nostre aspettative. Ne servivano 4.500 Euro per far rientrare la salma in Gambia e in meno di una settimana ce l’abbiamo fatta. Incredibile, soprattutto se consideriamo il momento storico che stiamo vivendo, la situazione geopolitica italiana e l’emergere dei movimenti sovranisti un po’ in tutta Europa. Non è semplice chiedere di donare per esaudire i desideri di un migrante, eppure ce l’abbiamo fatta. Gli italiani, quando vogliono, sanno davvero mettersi una mano sul cuore e aiutare chi ne ha bisogno. Poi certo un bel po’ di donazioni sono arrivate dalla comunità gambiana, che ho personalmente contattato, e dai tanti amici di Abdou. Ma questo era previsto. Quello che non sapevamo, è che si sarebbe generato un surplus che ci avrebbe permesso di sostenere anche l’Hospice di Abbiategrasso con una donazione da 1000 Euro e avere anche un piccolo gruzzoletto da inviare nei prossimi giorni alla famiglia di Abdou, così che i suoi figli possano proseguire gli studi.
Abdou è stato curato dall’Hospice per circa tre settimane, come le ha vissute?
Per prima cosa devo dire che è stato veramente difficile spiegare a lui il concetto di ospedale, malattia, ecc. Stiamo parlando di un giovane poco istruito che prima di questa estate non era mai stato in ospedale, non aveva mai subito un’operazione e non aveva mai preso una medicina. Figurati a spiegargli cos’è un tumore. Poi Abdou non capiva perché doveva passare da un ospedale, quello di Vigevano, ad un altro. Io ho fatto il possibile per spiegargli che l’Hospice non è esattamente un ospedale e in questo mi ha molto aiutato anche uno dei suoi fratelli che vive negli Stati Uniti e che, capita la gravità della situazione, gli ha detto chiaramente che l’Hospice era l’unico posto che poteva aiutarlo.
Per quanto riguarda il suo periodo di degenza devo confessarti che non aveva molte richieste, gli bastava il WI FI per poter comunicare con i suoi parenti sparsi un po’ in tutto il mondo. Però era davvero molto soddisfatto dell’Hospice: si complimentava con me per la qualità del cibo e per la gentilezza degli operatori. Fino a quel momento aveva visto gli italiani come persone chiuse e un po’ razziste in quanto nelle sue abitudini c’era, ad esempio, salutare una persona quando la si incrocia per strada. Lui diceva a tutti buongiorno ma si sorprendeva di non ricevere spesso una risposta. Devo dire che la gentilezza degli operatori dell’Hospice e dei volontari ha giocato un ruolo determinante per il riscatto del nostro popolo ai suoi occhi.
In ultimo c’è tutto il tema della sintomatologia. Abdou dopo l’ingresso in Hospice non avvertiva più quei forti dolori che l’avevano costretto al ricovero in ospedale. Solo che, tolto il dolore, per la sua scarsa conoscenza della medicina occidentale (lui si fidava molto delle pratiche tradizionali africane ndr) aveva creduto di essere guarito. Purtroppo non era davvero possibile per via della malattia in fase molto avanzata.
Michela, un’ultima domanda davvero difficile. Per la tua esperienza, quali differenze ci sono tra un 30enne come Abdou e un 30enne occidentale?
Urca, è davvero complicato dare una risposta non banale. La prima cosa da dire è che lui era molto religioso da un lato ma poco istruito dall’altro. L’unione di questi due aspetti rendeva molto più difficile la comunicazione. Un trentenne italiano solitamente conosce il concetto di tumore, sa cos’è la medicina e, tendenzialmente, anche quali diritti possiede. E spesso l’occidentale ha una famiglia che lo supporta, che lo aiuta nei momenti di difficoltà e che lo sostiene anche economicamente.
Per Abdou queste prospettive erano completamente ribaltate. Lui mandava soldi alla famiglia in Africa e l’idea di morire lo rattristava perché era molto preoccupato per il futuro dei suoi figli e dell’anziana madre. Direi che era veramente questa l’unica inquietudine che traspariva dal suo modo di essere. Mi diceva: “Chi baderà ai miei figli di otto e 10 anni? Chi aiuterà mia moglie e mia mamma?” Per fortuna a queste domande hanno risposto tanti nostri concittadini, molti italiani perbene che invece di protestare per l’arrivo delle navi hanno messo mano al portafoglio per far decollare un aereo verso il Gambia.