Il medico di famiglia conosce le cure palliative? L’indagine del Dr. Luca Bellazzi.
Lo scorso 8 giugno, presso il Castello Sforzesco di Vigevano, l’Hospice di Abbiategrasso ha realizzato il corso intitolato “Cure Palliative: la condivisione di un percorso”. La formazione, rivolta ai medici di medicina generale (MMG), ha coinvolto tra i relatori anche il Dr. Luca Bellazzi, autore di un’indagine rivolta ai MMG del vigevanese soci di AMF (Associazione Medici di Famiglia). Prima di commentare i risultati, la citazione che apre la presentazione colpisce il lettore: “Voglio che i miei pazienti sappiano che sono un altro tipo di specialista. Sono specializzato nei miei pazienti.”
1) Buongiorno Dr. Bellazzi, è questa la visione di AMF rispetto al ruolo del MMG?
Sì e credo che dovrebbe essere condivisa da tutti i colleghi. La nostra peculiarità è proprio quella, cioè avere il “sentiment” del paziente. Aldilà delle patologie codificate, noi siamo a conoscenza di aspetti della situazione del malato che permettono di gestire le criticità in modo diverso e che vanno oltre la semplice medicalizzazione. Conosciamo bene le persone che abbiamo in cura e ci ritroviamo ad essere un punto fermo nella loro vita. Siamo un po’ dei tuttofare: medici, assistenti sociali, confessori e sempre più spesso anche avvocati. Abbiamo una visione olistica delle persone che assistiamo con una base solida che si fonda sul rapporto di fiducia reciproco. Senza questo aspetto, tutto il resto diviene faticoso.
2) Com’è cambiato e come dovrà cambiare il ruolo del medico di medicina generale negli ultimi anni?
Sono un medico di famiglia da oltre 20 anni e da quando ho iniziato ho sempre sentito parlare di centralità del nostro ruolo nel governo del paziente. In realtà, a mio avviso, stiamo andando nella direzione opposta. Oggi si sta provando a demandare “pezzetti di cura” agli specialisti, ognuno per la sua competenza specifica. Se guardiamo alle recenti riforme regionali, noi dovremmo fare i burocrati fungendo da primo filtro e indirizzando immediatamente il malato allo specialista. In realtà non è così che dovrebbe essere e mi auguro che i nostri rappresentanti sindacali lavorino per garantirci la centralità che stiamo perdendo. Occorrerà che il medico prenda in carico il paziente e lo accompagni in tutto il percorso, globalmente e non solo per gli spicchi costituiti dalle patologie croniche come accade oggi in Regione Lombardia.
3) Passando alla sua indagine, si legge che il 78% degli intervistati si ritiene abbastanza soddisfatto del servizio di Cure Palliative Domiciliari presente nel Vigevanese. Secondo lei, cosa si può migliorare?
Il servizio domiciliare a Vigevano è storicamente stato gestito sempre bene. Dal mio punto di vista, e credo anche da quello dei colleghi che hanno partecipato al sondaggio, va migliorato il coordinamento fra MMG e palliativista. Noi medici di famiglia spesso riceviamo aggiornamenti per interposta persona (dal dialogo con i famigliari) e non da chi ha in carico il nostro paziente. Dobbiamo da ambo le parti imparare a coordinarci di più e meglio. A volte il famigliare torna da noi perché alcune decisioni proposte dal servizio di cure palliative domiciliari non le condivide o semplicemente perché non ha la prontezza in quel momento di chiedere al palliativista. Sono situazioni facilmente superabili con una condivisione delle scelte tra medici che deve avvenire prima della proposta al paziente: una telefonata spesso è sufficiente.
4) Il 63% delle risposte indica un maggiore coinvolgimento nella gestione del paziente in carico al servizio di cure palliative domiciliari. I professionisti dell’Hospice come possono migliorare questo aspetto?
Da parte vostra, come detto, una telefonata prima di vedere il paziente, in modo da visitarlo insieme, o quando si cambia la terapia è sicuramente gradita. A volte questo accade ma non sempre è così. Il tutto però con strumenti agili di comunicazione che rendano ad entrambi più semplice il lavoro. Se è utile e immediato, anche un messaggio vocale su whatsapp a volte basta a farci sentire più coinvolti. L’importante, e qua nessun professionista ha colpa, è cercare di bypassare i tecnicismi burocratici che frenano il nostro lavoro.
5) Il messaggio in chiusura della sua relazione era molto diretto: fare rete! Sappiamo che da poco è nata la Rete Locale di Cure Palliative nel territorio dell’ATS Pavia. Perché è così importante il networking?
Per sfruttare al massimo le poche risorse economiche che rimangono. Fare rete è una necessità che consente a noi MMG di utilizzare al massimo le consulenze specialistiche e ai palliativisti di sfruttare le nostre conoscenze. Il rischio, altrimenti, è quello di perdere dei passaggi. Nel caso delle cure palliative, ad esempio, l’assenza di una rete può portare ad una tardiva presa in carico dell’ammalato, tralasciando in questo modo le cure palliative precoci e i relativi benefici per il paziente. In assenza di un network la sensazione in alcuni ambiti, soprattutto istituzionali, è che il Medico di Medicina Generale venga coinvolto solamente perché lo prevede la Legge. Questo non fa onore alla nostra professionalità e non ci consente di raggiungere l’obiettivo per cui facciamo questo lavoro: curare e migliorare la vita delle persone malate.