Cure palliative e alimentazione: i consigli della dietista
“Quando l’obiettivo della cura non è più la guarigione […] ma diventa il miglioramento della qualità della vita residua nella consapevolezza che si è instaurato un processo irreversibile di preparazione alla morte, il bisogno di alimentazione si trasforma acquisendo significati nuovi e diversi.”
Con questa frase contenuta nella pubblicazione di Federazione Cure Palliative intitolata “Food. Il cibo in salute e in malattia” Laura Polato apre ad un ragionamento più ampio sul tema del cibo legato al mondo delle cure palliative. L’occasione è stata offerta da un corso di formazione che la Dott.ssa Polato ha tenuto per gli operatori dell’Hospice di Abbiategrasso. A margine di questo incontro abbiamo chiesto alla dietista un approfondimento rispetto al tema dell’alimentazione nelle cure palliative.
Ciao Laura, in che modo il dietista si inserisce nell’équipe di cure palliative?
Ciao. Prima di cominciare vorrei fare una breve premessa citando una pubblicazione della Federazione Cure Palliative (Food il cibo in salute e in malattia – collana Punto e Virgola n° 10). Il cibo è nutrimento del corpo ma anche dell’anima e rappresenta il primo contatto che abbiamo con il mondo. Instauriamo con il cibo una vera e propria relazione ed è l’unica relazione vitale che inizia e finisce con noi. Il cibo assume infatti per le persone un notevole carico simbolico e un ruolo a livello comunicativo e relazionale. Si tratta dunque di qualcosa di davvero importante nella nostra vita che diviene cruciale nella fase terminale della vita di un individuo. Spesso infatti nei pazienti fragili e con condizioni cliniche che possono mutare rapidamente, come quelli ricoverati all’Hospice di Abbiategrasso ad esempio, si può incappare nel rischio di malnutrizione. Per chiarirci parliamo di malnutrizione riferendoci ad uno stato patologico che peggiora il quadro clinico e la qualità di vita del paziente compromettendo inoltre la sua capacità di adesione ai trattamenti che vengono proposti. Riconoscere i pazienti malnutriti o a rischio di malnutrizione è indispensabile. In questo il dietista darebbe un apporto fondamentale all’équipe di cure palliative.
Quindi, se ho capito bene, il dietista potrebbe svolgere sia le consulenze dirette al paziente sia formare gli operatori…
Esatto. Il dietista mette a disposizione dell’équipe e del paziente stesso le sue conoscenze al fine di poter intervenire tempestivamente e riconoscere i casi di malnutrizione o di potenziale rischio. Può stimare il fabbisogno nutrizionale della persona malata sulla base della prognosi, della patologia, della volontà dell’assistito e andare di conseguenza a definire gli interventi che saranno oggetto della terapia nutrizionale. In alternativa può fornire ai medici palliativisti gli strumenti per individuare i rischi di malnutrizione, presenti o potenziali, e aiutare così il paziente a migliorare la propria qualità della vita evitando che il processo di malnutrizione divenga irreversibile. Ritengo infatti si possa inserire molto bene nelle cure palliative precoci e nel contesto ambulatoriale.
È abitudine associare l’iperfagia, ovvero l’aumento di appetito, ad uno stato di benessere. È così?
Nella cultura popolare, soprattutto se parliamo con gli anziani, il cibo e la sua abbondanza sono considerati fattori di benessere anche se in realtà negli ultimi anni stiamo per fortuna assistendo ad una presa di consapevolezza maggiore nella popolazione. L’aumento della obesità infantile e l’abbondanza di cibo spazzatura sono fenomeni che meritano attenzione. Calando il discorso nel contesto delle cure palliative, e in particolare nei pazienti oncologici, non è mai cosa positiva forzare l’alimentazione. Le ragioni possono essere diverse ma di certo forzando la persona la si mette in uno stato di disagio che non migliora affatto la qualità della sua vita. Spesso la richiesta di alimentarsi non proviene dal paziente ma proprio dai familiari che faticano a comprendere la condizione del malato.
Ci sono alcuni accorgimenti che potremmo adottare con un paziente oncologico che presenta sintomi dovuti alla malattia o ai trattamenti terapeutici che ha in corso?
Certo! Per esempio, tra le sintomatologie che si riscontrano più di frequente ci sono nausea e vomito. Alcuni accorgimenti quali il frazionamento della giornata alimentare in cinque o sei pasti, l’idratazione a piccoli sorsi aumentando piano piano le quantità, la scelta di cibi asciutti e salati sono pratiche utili a ridurre questi sintomi e a favorire l’alimentazione del paziente.
Per chiudere, una domanda di carattere generale: che differenza c’è tra dietista e nutrizionista?
Il dietista è un professionista sanitario competente per tutte le attività finalizzate alla corretta applicazione dell’alimentazione e della nutrizione. Ha un percorso universitario ben definito che termina con un esame di Stato che abilita alla professione. Da circa due anni è anche stato istituito un albo che comprende, oltre ai dietisti, tutte le professioni sanitarie cosiddette “tecniche, della riabilitazione e della prevenzione”. Il termine nutrizionista è invece piuttosto generico e attualmente può essere utilizzato per definire il medico nutrizionista (il vecchio dietologo, ndr) ma può essere associato anche ad altre figure. Io, infatti, per evitare confusione prediligo sempre presentarmi come dietista.