Appropriatezza Clinica: definizione, significato e indicatori

Appropriatezza Clinica

Cosa si intende per appropriatezza clinica? L'appropriatezza clinica garantisce che ogni intervento medico sia adeguato alle reali necessità del paziente, evitando trattamenti superflui o inefficaci. Il concetto si basa su tre criteri essenziali: efficienza, efficacia e organizzazione.

11/2/2025 | Pillole di Bioetica
Appropriatezza Clinica

Nell’ambito sanitario, garantire l’appropriatezza clinica significa ottimizzare le risorse, migliorare la qualità dell’assistenza e ridurre il rischio di cure non necessarie o sproporzionate. Secondo la Fondazione Gimbe l’appropriatezza misura “l’aderenza ai processi clinici e organizzativi secondo standard definiti” [1].

Il significato di Appropriatezza 

Quando si parla di appropriatezza si fa riferimento a un termine che deriva dall’aggettivo “appropriato” e che rappresenta, secondo le definizioni presenti nei vari vocabolari, qualcosa di adatto, adeguato e conveniente. Dall’aggettivo si è poi coniato il neologismo appropriatezza. Nella letteratura scientifica in ambito sanitario il termine compare a partire dalla fine degli anni ’60 in relazione alle procedure adottate nelle pratiche cliniche e nel corso degli anni ha visto un’evoluzione nelle diverse definizioni.

Nel concetto diffuso tra gli anni ’80 e ’90 del secolo scorso si faceva riferimento al solo beneficio atteso nei confronti dei pazienti ossia all’insieme di cure in grado di rispondere adeguatamente ai loro bisogni. I costi per il comparto sanitario non erano contemplati nelle diverse definizioni proposte. Ad esempio negli Stati Uniti i ricercatori dell’organizzazione RAND avevano stabilito che una procedura è appropriata quando:

il beneficio atteso (ad es. un aumento della aspettativa di vita, il sollievo dal dolore, la riduzione dell’ansia, il miglioramento della capacità funzionale) supera le eventuali conseguenze negative (ad es. mortalità, morbosità, ansia, dolore, tempo lavorativo perso) con un margine sufficientemente ampio, tale da ritenere che valga la pena effettuarla.

Tale definizione, oltre a non contemplare la disponibilità di risorse, non considera l’individualità del paziente. Negli anni successivi sono state invece proposte descrizioni che includevano il concetto di “risorse disponibili” con un principio di costi/benefici e che ponevano anche l’accento sul beneficiario delle prestazioni erogate.

Nel nostro Paese il termine è presente nel contesto normativo a partire dalla Legge 449/1997 che ha inserito l’appropriatezza fra i profili da considerare nel monitoraggio delle attività ospedaliere. Tale legge recepiva la Raccomandazione n° 17/1997 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa agli Stati membri. L’appropriatezza è diventata poi uno dei parametri per l’individuazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (D.Lgs 229/99) essendo stata inserita nel Piano Sanitario Nazionale 1998-2000. Il Ministero della Salute, nel proprio glossario, la definisce in questo modo:

L’appropriatezza definisce un intervento sanitario (preventivo, diagnostico, terapeutico, riabilitativo) correlato al bisogno del paziente (o della collettività), fornito nei modi e nei tempi adeguati, sulla base di standard riconosciuti, con un bilancio positivo tra benefici, rischi e costi.

Esistono ulteriori declinazioni del concetto di appropriatezza ma non è possibile rintracciare una definizione universalmente riconosciuta.

Quando una prestazione sanitaria oggi è considerata appropriata?

Si considera appropriata una prestazione sanitaria quando risponde ad alcuni criteri:

  • si basa su evidenze scientifiche aggiornate e validate;
  • è coerente con le linee guida nazionali e internazionali nell’ambito sanitario;
  • offre il miglior rapporto tra benefici e rischi per il paziente;
  • consente di utilizzare le risorse disponibili in modo efficace ed efficiente.

Per la Fondazione Gimbe un servizio/intervento/prestazione sanitaria è appropriato quando viene erogato “alla persona giusta, nel momento giusto, per la giusta durata, nel posto giusto e dal professionista giusto.”

Prendendo in considerazione una definizione omnicomprensiva, come quella proposta dalla Fondazione, è opportuno separare le due differenti aree dell’appropriatezza: quella organizzativa e quella professionale.

Appropriatezza Organizzativa

In considerazione di quanto riportato nel paragrafo precedente possiamo dire che da punto di vista organizzativo un intervento risulta appropriato se viene utilizzata la corretta quantità di risorse.

In tal caso occorre fare riferimento al setting (l’assistenza è erogata nel “posto giusto”) e ai sanitari coinvolti (intervengono i professionisti e gli operatori più adatti al caso). L’appropriatezza organizzativa è quindi migliore quando lo stesso risultato, in termini di efficienza ed efficacia, è ottenuto utilizzando minori risorse.

Che cos’è l'Appropriatezza Professionale? 

L’appropriatezza professionale riguarda in misura maggiore le scelte operate dai professionisti sanitari nel prescrivere trattamenti e procedure mediche. Occorre quindi prendere in considerazione i seguenti criteri:

  • efficacia: ci sono evidenze che quello erogato è il trattamento giusto;
  • efficienza: riduce gli sprechi (sono corrette la durata, le tempistiche di prescrizione e il soggetto che riceve la prestazione);
  • sicurezza: gli effetti positivi sono maggiori rispetto a quelli considerati sfavorevoli.

Indicatori di Appropriatezza in sanità

Per valutare l’appropriatezza clinica vengono utilizzati specifici indicatori.

Un’articolata lista di questi è utilizzata da Agenas nel PNE (Piano Nazionale Esiti) che attraverso approfondite analisi si propone di “fornire a livello nazionale valutazioni comparative di efficacia, sicurezza, appropriatezza e qualità delle cure erogate nell’ambito dell’SSN, e di mettere a disposizione strumenti a supporto di attività di audit clinico-organizzativo, finalizzate al miglioramento della qualità” [Fonte: Programma Nazionale Esiti – edizione 2024 Agenas].

Ulteriori informazioni per individuare indicatori utili a valutare l’appropriatezza in sanità si possono ricavare consultando il Decreto Ministeriale 70/2015. Rispetto all’appropriatezza organizzativa una lista di indicatori è presente nel Patto per la Salute 2010-2012.

Appropriatezza nelle Cure Palliative

Nelle cure palliative, analogamente agli altri settori del mondo sanitario e sociosanitario, è opportuno valutare l’appropriatezza di una prestazione.

I riferimenti normativi italiani in questo ambito fanno necessariamente riferimento a quella che è la legge quadro per il mondo delle palliative. Con la Legge 38/2010 infatti si è normata l’implementazione e la diffusione di queste cure nel contesto nazione e il concetto di appropriatezza è apparso in un paio di articoli ed in particolare nell’art. 2 e 3.

Nel dettaglio l’Art. 3 comma 4 fa riferimento al comitato paritetico che ha il compito, tra gli altri, di valutare lo stato di attuazione della legge facendo particolare riferimento all’appropriatezza e all’efficienza dell’uso delle risorse.

Quando un intervento di Cure Palliative risulta appropriato? Alcuni esempi.

Possiamo individuare l’appropriatezza di un intervento in cure palliative utilizzando il processo inverso, ossia parlando di ciò che risulta inappropriato.

Gli indicatori di inappropriatezza nel fine vita sono parametri clinici e organizzativi che evidenziano pratiche mediche potenzialmente non ottimali per il benessere globale del paziente in fase terminale. Alcuni di questi indicatori, frequentemente citati nella letteratura scientifica italiana e internazionale, includono:

Somministrazione di chemioterapia nelle ultime settimane di vita

  • La chemioterapia somministrata nelle ultime 2-4 settimane di vita è considerata un segnale di inappropriatezza in quanto è improbabile che apporti benefici clinici significativi. In questa fase, il trattamento può aumentare effetti collaterali come nausea, dolore, stanchezza e immunosoppressione, riducendo la qualità di vita senza estendere la sopravvivenza.
  • Studi hanno evidenziato che la chemioterapia somministrata molto tardi è spesso associata a decessi più frequenti in ospedale, un uso elevato di ricoveri di emergenza e un minore ricorso a cure palliative.

Decesso in ospedale

  • La morte in ospedale è considerata un indicatore di inappropriatezza se il paziente non ha ricevuto opzioni alternative di fine vita (es. hospice o assistenza domiciliare).
  • La letteratura scientifica sulle cure palliative sottolinea che il decesso in ospedale può rappresentare un fallimento nella pianificazione anticipata delle cure e un'insufficiente integrazione tra ospedale e rete di assistenza territoriale.

Accesso tardivo alle cure palliative

  • Un ritardo nell’attivazione delle cure palliative riduce l’efficacia di queste terapie, che necessitano di un approccio multidisciplinare e di un tempo adeguato per stabilire un beneficio reale per il paziente.
  • L’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda l’avvio precoce delle cure palliative per migliorare il controllo dei sintomi e il supporto psicologico. Quando ciò avviene solo nelle ultime settimane o giorni, si tende a un’escalation dei trattamenti aggressivi inutili.

Elevato numero di ricoveri in ospedale o accessi al pronto soccorso negli ultimi 30 giorni

  • Più ricoveri ospedalieri (spesso per complicanze o sintomi acuti) negli ultimi 30 giorni di vita segnalano una gestione non ottimale del paziente in contesti extra-ospedalieri.
  • Questo può essere un indicatore di mancanza di continuità delle cure o di fallimento nella gestione proattiva dei sintomi.

Mancata pianificazione anticipata delle cure (Advance Care Planning, ACP)

  • L’assenza di un piano di cure condiviso con il paziente e la famiglia può portare a decisioni tardive o in contrasto con i desideri del paziente, favorendo un uso eccessivo di trattamenti intensivi.
  • L’ACP è considerata uno strumento cruciale per garantire cure appropriate, evitando interventi aggressivi inutili.

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[1] Cartabellotta N., 2016 Appropriatezza professionale: la chiave per la sostenibilità della sanità pubblica

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